Furono gli Egizi, i primi che dedicarono all’igiene ed al culto della persona più di una attenzione, facendo assurgere la cosmesi ad una vera e propria arte sotto la protezione del dio Bes e con risultati a volte spettacolari, se pensiamo a quella epoca così lontana. Essenze, oli, profumi, venivano elaborati sia nei templi, con i sacerdoti che possono davvero essere considerati i primi mastri profumieri, sia in fiorenti, ed affollate botteghe, dotate di tutto l’armamentario necessario alla toelettatura, come scatole in legno, alcune finemente lavorate, ciotole, spazzole, specchi in rame, trucchi e via dicendo, di cui abbiamo avuto ampia testimonianza, nei ricchi corredi funerari a noi pervenuti. Il profumo in particolare, per il suo aroma impalpabile, veniva in qualche modo paragonato all’anima ba, con un duplice aspetto, seducente e religioso, ed essere profumati, era quindi molto più importante che l’essere belli, come ci ha raccontato Erodoto.
Anche i vestiti erano ben curati, persino nelle classi meno abbienti, e gli indumenti di lino (materiale spesso nominato nelle invocazioni religiose) erano in genere puliti e ben tenuti, venivano spesso usate anche parrucche di varie fogge e tipo, e pure il capello subiva attenzioni particolari, con l’utilizzo di tinte per nascondere il grigiore. Lo stesso faraone, si sottoponeva quotidianamente, ad una vera e propria cerimonia connessa con la purificazione del corpo, che opportunamente lavato e profumato, alludeva alla nascita dell’Oceano Primordiale Nun, ed alla sua trasformazione nel dio falco Horus.
I templi emanavano essenze di diversi aromi, creando sicuramente un ambiente gradevole e raffinato, anche se il popolo era escluso dalla loro frequentazione. Il profumo più apprezzato, ma anche il più costoso, era il kiphy ricavato dalle essenze e resine di ben 16 piante selvatiche, come bacche, ginepro, pistacchio, cedro, cannamella, ed altre e veniva applicato sul corpo e sui capelli con inevitabile effetto seducente. Giova ricordare che il denaro fu introdotto in epoca tolemaica, ed è facile intendere quindi che i prodotti venissero pagati con ciò che forniva l’agricoltura o più facilmente, gioielli. Vera e propria arma ammaliatrice, allora come oggi, l’uso del profumo era una delle tecniche più utilizzate per la seduzione e principesse e regine ne facevano grande uso. Profumi ed essenze diventarono anche un importante merce di scambio, ad esempio i Fenici commerciavano con gli Egizi con l’estratto di teribinto, ricavato da un arbusto rossastro e dal legno duro e profumato, che cresceva spontaneamente nell’area mediterranea e parimenti importanti erano le acquisizioni di mirra, ed incenso provenienti da Punt, la regione leggendaria localizzata agli estremi confini delle terre egizie, in un’area corrispondente grosso modo all’attuale Somalia.
Particolare attenzione, veniva poi dedicata al trucco degli occhi, anche qui con una duplice funzione seducente e protettiva. I colori più frequentemente utilizzati erano, per le palpebre superiori, il verde malva della malachite, che, essendo un minerale di scarsa durezza, permetteva di formare dei pigmenti, usati anche per le decorazioni, ed il nero del kohl per la regione perioculare e le palpebre inferiori, kohl che è praticamente il moderno kajal, derivato principalmente dal solfuro di piombo (galena) con un impasto piuttosto denso e resistente, mischiato anche alla linfa di sicomoro, con proprietà antibatteriche. Per la sua funzione protettiva, il kohl veniva pertanto utilizzato anche dai bambini. Questi composti, tutti caratterizzati da una certa densità, finivano per essere tossici, ostacolando la traspirazione della pelle, ed il loro uso prolungato non era privo di complicazioni, tra cui ovviamente, l’avvelenamento. Le sopracciglia venivano invece depilate con pinzette, ed il loro contorno allungato con un pennellino intriso di un colore nerastro, proprio come gli attuali tatuaggi sopraccigliari, non sempre ahimè, riuscitissimi… Le ciglia venivano colorate con una sorta di collirio verde chiamato nagin e le labbra tinte di rosso. Il rosso ocra, veniva anche utilizzato per coprire le guance e camuffare il colore brunastro della pelle.
Maschere nutrienti a base di grasso di ippopotamo e oli protettivi contro il sole, erano all’ordine del giorno, e persino il miele veniva utilizzato come sostanza idratante e tonificante, a volte anche contro le scottature o come battericida, con risultati in questo caso però, pressochè nulli. Le rughe perioculari, venivano trattate con sostanze abrasive a base di polvere di alabastro, che, opportunamente sfregate con delicatezza, favorivano la desquamazione e la successiva riparazione con la produzione di collagene, un processo ben studiato e ripreso dall’attuale Medicina Anti Aging, che utilizza peeling chimici o il laser, ma anche cristalli di alluminio (non però per la zona periorbitaria a seguito della nebulizzazione di tali cristalli, pertanto non adatta ad una zona così delicata). Alcune mummie molto antiche, hanno evidenziato la presenza di tatuaggi, forse connessi a qualche rito religioso più che per un mero effetto decorativo, ma si presume anche come possibile dimostrazione di forza o virilità. Presenti sia in uomini che donne, venivano eseguiti con una spina intrisa di fuliggine inumidita, con la quale si otteneva un colore nerastro. Si fa risalire l’uso dei tatuaggi già a partire dal 3000-3500 a.c. Aromi da bruciare, oli profumati, ed essenze varie erano utilizzati infine, oltre che per le funzioni religiose, anche per feste e giochi, dando indubbiamente un aspetto molto decorativo e suggestivo. In conclusione, gli Egizi furono il primo popolo, che in qualche modo, codificò un vero e proprio ricettario per apparire “in società” nel migliore dei modi. Vennero elaborati dei veri e propri look spesso sfoggiati a corte e regine, anche diventate faraoni, come Nefertiti (probabile) o Cleopatra, furono le antesignane di mode rapidamente copiate, anche se tutta la cultura millenaria dell’Antico Egitto, rischiò in realtà di essere sommersa e dimenticata, a causa dell’incomprensione dei geroglifici per le generazioni seguenti.
L’ultima scrittura geroglifica nota, è del 24 Agosto del 394 d.c. scolpita nell’isola di File, ma già allora, una scrittura usata per millenni, era sconosciuta ai più. Ci vollero gli studi di un giovane francese Jean François Champollion (non solo lui comunque) per tradurre correttamente le parole incise su pietra e riscoprire così una civiltà quasi sepolta. Ma questa è un’altra storia.
Dott. Edward R. Battisti
Specialista in Chirurgia Plastica
