La risposta di Caravaggio alla peste nera: ” Il Sacrificio di Isacco”

Gli autori del passato realizzavano i loro capolavori a vari livelli semantici e di comprensione, facendo riferimento, per l’arte sacra, ai brani delle scritture, conosciuti allora da gran parte della popolazione, per poi inserire elementi che aiutassero lo spettatore a interpretare il senso dell’opera, la vicenda narrata e talvolta la morale. Lo stesso Caravaggio, artista rinomato per le sue abilità di interpretazione realistica, non poteva certo rinunciare a questa possibilità di lettura stratificata dell’opera e alcuni dei suoi capolavori risultano essere non solo eccelse creazioni artistiche ma anche trattati di esegesi biblica riproposti in forma visiva. Tra questi si annovera Il sacrificio di Isacco, realizzato da Caravaggio nel 1603 e ora conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze.

In quell’anno muore Elisabetta I d’Inghilterra e le succede Giacomo I, ponendo la dinastia Stuart sul trono inglese; viene fondata l’Accademia dei Lincei e si diffonde la peste nera in Inghilterra. Secondo il biografo Giovanni Bellori, il dipinto venne commissionato dal cardinale Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII. Nell’opera appaiono Abramo, con un coltello sacrificale, che sta per immolare il figlio Isacco, su ordine di Dio, un angelo che gli blocca la mano all’ultimo momento e un ariete che bela, lì accanto. La scena è ambientata in un paesaggio collinare, con un piccolo centro abitato la cui architettura è contemporanea al pittore. Il dipinto illustra il passo dell’Antico Testamento in cui Dio sottopone Abramo a una straordinaria prova di obbedienza ordinandogli il sacrificio del suo unico figlio Isacco. “Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: ‘Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò’”

Caravaggio raffigura in modo fedele il momento cruciale del drammatico racconto, ovvero quando il vecchio Abramo, nell’attimo in cui sta per immolare Isacco, viene bloccato dall’angelo inviato dal Signore. “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male”. Isacco ha il capo adagiato su una pietra, che diviene simbolo dell’altare cristiano e quindi del sacrificio di Cristo, ed evoca le parole del Vangelo: “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa”. Isacco fu salvato all’ultimo momento dalla mano dell’angelo e fu risparmiato ponendo al suo posto un ariete che si era trovato nei pressi, con le corna impigliate fra i rovi. L’ ariete è un rimando alla simbologia ebraica, in quanto il suo corno, lo shofar, è suonato dagli ebrei nel giorno dello Yom Kippur (il Giorno dell’Espiazione). Esso viene sacrificato al posto di Isacco, fungendo da capro espiatorio e diviene in chiave cristiana la prefigurazione della Passione dell’agnello di Dio, Cristo, l’agnus Dei che si offre alla morte al posto dell’Uomo, per salvarlo.

Oggi che purtroppo si torna a parlare di epidemia e pandemia, torna quasi consolatorio constatare come l’arte abbia esorcizzato, con la bellezza, la drammaticità che può derivare da questi scenari tornati alla ribalta, donando anche la speranza  della salvezza così come da narrazione evangelica. “Le opere d’arte infatti non sono solo scrigni di bellezza in cui predominano le valenza estetica e stilistica, ma anche contenitori di messaggi, celati dietro  simboli con precisi significati”.

Alle spalle di Abramo vediamo un albero di alloro, uno degli emblemi della casata Barberini, di cui era membro Maffeo, committente dell’opera. L’alloro era anticamente simbolo di gloria e vittoria e, in chiave cristiana, di immortalità, di vita eterna. L’albero allude poi al legno della croce che si sovrappone al significato di Albero della Vita. L’edificio posto sulla collina potrebbe essere una chiesa con battistero, simbolo della futura nascita della chiesa cattolica, e la luce diffusa sul paesaggio rappresenterebbe la luce della grazia divina. Di certo, il fatto che lo sfondo sia sineddoche del mondo intero e che l’ariete rappresenti il Cristo è simbolo che Gesù morì per liberare dal peccato l’umanità intera e intende rappresentare il fatto che ogni uomo ha la possibilità, se si pente dei suoi peccati e crede in Cristo, di salvarsi.

Il modello adolescente che posò in veste di Isacco potrebbe essere il giovane  Boneri che posò anche per” Omnia Vincit Amor”. Ecco quindi non solo la riproposizione artistica di un episodio biblico, ma la spiegazione, in codice, del senso delle Scritture che prefigurano l’avvento del Cristianesimo, in un’ossimorica velata evidenza dei significati negli elementi simbolici presenti nell’ arte  che la mano di Caravaggio ha saputo spientemente tessere.

Articolo a cura di Maria Basile

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