Oggi dire a qualcuno ‘sei ignorante’ genera sentimenti negativi che spaziano dall’irritazione alla lite, fino al conflitto. Ma nella radice etimologica di questa parola c’è un concetto filosofico importante per la crescita della società, ovvero la dimensione del ‘non sapere’. È la dichiarazione di onestà intellettuale che Socrate declamò nel suo ‘sapere di non sapere’.
Ignorante è, semplicemente, colui che non sa e non esperto di qualcosa, sia perché manca di conoscenze specifiche in materia, sia perché le conoscenze che ha sono superficiali. Di fronte alle tante discipline esistenti, l’ignoranza non è una colpa, né un difetto. Posto che nell’ambito di nostra competenza siamo preparati, è normale e, anzi, segno di realismo dichiarare che su tante altre cose non sappiamo nulla. Così, l’ignoranza è strumentale a tanti punti di forza della società: dichiarando di non sapere, ci affidiamo agli esperti.
Noi ci impegniamo a diventare esperti sì che gli altri possano fare riferimento a noi e quando, invece, le questioni esulano dalla nostra capacità di analizzarle, valutare e gestirle, chiediamo il parere a chi sa più di noi. Purtroppo in questa valutazione serena di uno scambio di competenze tra persone che riconoscono ciascuna i propri limiti c’è molto idealismo.
La realtà è, invece, che la democratizzazione dell’informazione soprattutto sulle reti sociali ha fatto del pluralismo di vedute una roccaforte di tanto protagonismo individuale disgiunto da competenze oggettive.
I mesi di COVID-19 ce lo illustrano bene. Nonostante la scienza sia un sapere tecnico, internet fa da casa a milioni di non esperti nel settore che pubblicano valutazioni per loro indiscutibili. Le teorie del complotto, quelle da manuale e costruite seguendo tutte le migliori strategie della propaganda, vengono presentate come evidenti.
La libertà di pensiero e di parola è una conquista fondamentale della democrazia, ma quando il pluralismo di punti di vista si comunica senza una chiara condivisione dei filtri per valutarne la qualità, la comunicazione diventa caos e lo scetticismo degenera in smarrimento. Così, parliamo pure; perché parlare è bello. Ma ricordiamoci con leggerezza e serietà che siamo anche ignoranti. Lo dicevano i nonni ‘un bel tacer non fu mai scritto’…
a cura di Sara Rubinelli
Docente Scienze della Comunicazione Università di Lucerna
