L’arte di Giovanni Rubino in mostra a Milano

Attraverso l’arte ha espresso se stesso e il suo credo, utilizzandola più di tutto come strumento per dare voce ai temi sociali del suo tempo pur non privandola di un respiro più ampio e internazionale, mosso com’era dal chiedersi quale contributo avrebbe potuto dare, in qualità di artista, alle cause per cui credeva che valesse la pena lottare. Milano gli dedica una monografica presso lo Spazio Hajech, aperta al pubblico dal 14 febbraio all’1 marzo 2024.

Nato a Napoli nel 1938 e venuto a mancare nel 2021 nel capoluogo lombardo, Giovanni Rubino ha vestito i panni di artista e performer dagli anni ’60, quelli di videoartista e regista dagli anni ’90 e quelli di attivista per tutta la vita. Se la città meneghina ne ha scandito la tanto vasta quanto poliedrica produzione, la sua formazione affonda le radici nelle vestigia di Pompei di cui si scorge in mostra una apocalittica veduta aerea di tipico stampo archeologico. Il suo percorso artistico è segnato da una incontenibile urgenza comunicativa e da un frenetico destreggiarsi fra linguaggi anche distanti fra loro come il disegno, il frottage, la pittura murale e su tela, la performance, la videoarte, con lo scopo di esprimere la propria creatività e far arrivare il messaggio forte e chiaro all’osservatore.

La sua formazione accademica ed il suo rivolgersi ad un certo mondo artistico traspaiono chiaramente dalle opere esposte, a partire dalle nature morte dove le candele, spesso unica fonte di luce presente nell’opera, rimandano al francese Georges de La Tour, così come il chiarore che si contrappone all’oscurità, elemento ben padroneggiato da Rubino, fa immancabilmente eco a Merisi. E ancora, i temi e le immagini della tradizione come le bagnanti, i bagni turchi, i dannati michelangioleschi ripiegati sulla propria sofferenza, l’erotismo: tutto confluisce nel dipinto “L’Atelier” dove emerge preponderante, come in molte altre presenti in mostra, la nudità come elemento centrale della sua produzione pittorica.

Spicca “The Last Supper”, databile 1989, ovvero la trasposizione decisamente irriverente di un capolavoro per antonomasia, il Cenacolo. Una tela quasi blasfema che racconta di una società del consumo che tutto divora fagocitando i moti dell’animo di leonardesca memoria, declinati tramite gesti, posture e mimica facciale che non sfugge essere sempre di uno stesso volto che si ripete: proprio il suo, quello di Giovanni Rubino che, nelle vesti della figura centrale, si appresta a fare un discorso destando un interesse ridotto ai minimi termini e solo in chi gli è affianco, mentre tutti gli altri non prestano ascolto, presi come sono dall’ingordigia. La narrazione la chiude un aggiuntivo, rispetto all’iconografia classica, quattordicesimo commensale sulla destra che guarda lo spettatore con un piglio beffardo e consapevole di tanta indifferenza e voracità, squarciando il velo dell’ironia spesso presente nelle sue creazioni. Come nel suo stile, Giovanni si mette in gioco senza risparmiarsi, partecipando alla sua arte nella forma e nella sostanza e rendendosene in questo caso protagonista.

In questi due ultimi teleri, sviluppati in una dimensione orizzontale che supera i tre metri, emerge forte la componente grafica del disegno e la sequela di personaggi è realizzata con una tavolozza cromatica nei soli toni caldi del rosso aranciato e del marrone che si contrappongono ai colpi di luce nei toni freddi del bianco e del celeste che evidenziano ed enfatizzano momenti e gesti. Lo spazio non si sviluppa in profondità quanto in direzione lineare, esaltando la reiterazione delle figure una in seguito all’altra in una narrazione fluida quasi animata da forza vitale.

L’opera pittorica di Rubino non è facile da analizzare sotto l’aspetto filologico per mancanza di date e titoli certi, cosa fra l’altro che ben si spiega con il suo modus operandi di vulcanico inventore poco incline a ordinare e classificare il proprio lavoro. Dopo aver preso avvio negli anni ’60 con esiti abbastanza diversi e aver abbandonato la pittura a favore delle azioni artistiche degli anni ’70 che spesso sfociavano in contestazioni, ritorna nel decennio successivo all’impiego di forme artistiche più tradizionali ma arricchite di nuovi ingredienti. Quasi a inaugurare questa nuova fase, sta la complessa composizione raffigurante un’inquadratura dall’alto di Pompei sovrastata da un enorme agglomerato rosso fuoco (quest’ultimo è raffigurato in due tele assenti in mostra che completano le due invece esposte) che da lava della mortale eruzione diviene, con profetica intuizione, pericolo per il nostro presente.

Anche la produzione pittorica di Giovanni Rubino conferma dunque gli obiettivi generali della sua arte, arricchendo la lettura del suo percorso espressivo di artista che fu insegnante per molti anni al Liceo Artistico di Brera. La curatela della personale porta la firma di Anna Maria Fazio, Floriana Cinicolo, Giancarlo Sammito, Valeria Modica e Valentina Galletta, completata dalla supervisione di Emilia Ametrano.

Giovanni Rubino – Spazio Hajech, Milano (ingresso Liceo Artistico di Brera)

14 febbraio – 1 marzo 2024 / dal lunedì al venerdì, dalle 10 alle 14

Articolo a cura di Dafne Ambrosio

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