“Di tutti i regali che il tennis mi ha fatto negli anni, il più grande sono senza dubbio le persone che ho incontrato lungo il cammino; i miei amici, i miei avversari e più di tutto i fans che vivono per lo sport. Oggi voglio condividere alcune novità con voi”. Con queste parole lo scorso settembre The Swiss Maestro apriva il suo discorso di ritiro da quei campi di gioco che ha battuto per ventiquattro anni, disputando oltre millecinquecento match in quaranta paesi.
Se a fare il ritratto di se stesso fosse lui, lo farebbe con tre parole: autentico, modesto, leale. Se invece a dipingerlo fosse il suo medagliere, la descrizione sarebbe decisamente più lunga: terzo tennista più vincente nelle prove del Grande Slam, si è aggiudicato, fra gli altri, l’oro olimpico, sei Australian Open, un Roland Garros, cinque US Open e il primato imbattuto di otto Wimbledon. Lui, il tennista vestito di bianco con tanto di fascia da samurai, lo sguardo pensieroso e quell’espressione della bocca un po’ triste, le sue vittorie le ricorda così: “Mi considero una delle persone più fortunate sulla terra. Ho ricevuto uno speciale talento per giocare a tennis, e l’ho fatto a dei livelli che non avrei mai immaginato, per più tempo di quanto avrei mai creduto possibile”.
Non brilla per essere il numero uno dei record, del resto non è per loro che è diventato una leggenda. La stampa si è sbizzarrita nel descrivere Federer e il suo tennis in mille modi: uno scorcio di sport idealizzato in cui un gioco mostruosamente tecnico diventa uno spettacolo di pura arte; il giocatore che ha saputo far sgorgare dalla racchetta il tennis più bello da Adamo ed Eva ad oggi; l’uomo che ha portato il tennis in una nuova dimensione fatta di classe ed eleganza. Solo per citarne alcuni.
Una sorta di punto d’incontro dunque fra tennis moderno scandito dall’atletismo estremo, e quello classico di cui conserva la gestualità, per dirne una è fra i pochissimi a colpire di dritto ancora nella posizione neutral stance, con il piede destro parallelo alla linea di fondo. Uno stile fatto di grazia e autocontrollo attinto da un catalogo ideale di buone maniere del tennis che prevede movimenti essenziali e bandisce sbuffi nel colpire la palla, prediligendo la conduzione del gioco e dunque l’evitamento di lunghe rincorse sulla difensiva. Tutto questo, tradotto in performance, vuol dire scarso dispendio energetico e grande resistenza sul campo, fuori dal quale è diventato il simbolo delle qualità tipicamente associate alla Svizzera, facendo di lui un ambito testimonial per tutti i tipi di sponsor.
I nervi saldi in realtà sono un punto di arrivo: gli esordi furono assolutamente indisciplinati, con esplosioni di nervoso facili tanto quanto i lanci delle racchette per terra. Dopo un incontro perso ad Amburgo nel 2011 decise di bandire tali gesti e le cose, a suo dire, andarono meglio. “Quando sono in difficoltà mi concentro sul mio gioco. In passato, quando ero sotto con il punteggio, venivo preso dalla paura e cercavo di cambiare qualcosa; oggi sono calmo e ho fiducia nei miei colpi” avrebbe dichiarato più tardi. Il suo gruppo preferito sono gli AC/DC, prova che il suo mondo in disordine da qualche parte esiste ancora.
La miglior dote dello svizzero però è quel colpo d’occhio che gli consente di intuire e partire in anticipo sul colpo dell’avversario. “Io sento, quando qualcuno sta per colpire la palla, di sapere con che angolo e che effetto, semplicemente mi sembra di averla già vista. E questo è un enorme vantaggio” ebbe occasione di affermare lui stesso. Per tutta risposta, Roger è un giocatore imprevedibile e con una gran varietà di colpi, tanto da averne persino ideato uno, la SABR (Sneak Attack by Roger) che consiste in una risposta molto anticipata per sorprendere l’avversario in uscita dal servizio.
E’ passato dal dominio incontrastato alle rivalità infinite con Rafael Nadal e Novak Djokovic fino alle vittorie più rare delle sconfitte, cosa su cui non ha mancato di ironizzare. “Tutti speriamo in un finale da favola. Ecco com’è andato il mio: ho perso il mio ultimo singolo e doppio, il mio ultimo evento di squadra, la mia voce durante la settimana e il mio lavoro. Non pensate troppo al finale perfetto, il vostro sarà sempre sorprendente a modo vostro…”
“Ti amo e non ti lascerò mai”. La sua ultima parola è per il tennis con un finale aperto.
Articolo a cura di Claudia Chiari
Direttore Editoriale Rinascimento Magazine
